In aggiunta agli interventi dei colleghi di gruppo PLR, mi duole dover tornare sulla questione delle condizioni problematiche di detenzione delle donne in Ticino.
Restare silenti rispetto alla situazione creatasi sul nostro territorio significa permettere di continuare a violare alcuni articoli del CP e non evidenziare le misure detentive in evidente contrasto con la legge (art. 74 e 75).
Questo non significa essere diventati sindacalisti dei detenuti, come pronunciato dall’onorevole Gobbi durante un precedente GC.
Significa richiedere una riforma che ritarda ad essere messa in atto.
Sembrerebbe che ci sia la volontà di adibire alcune celle all’accoglimento delle detenute, prevedendo una zona a loro esclusivamente dedicata e dove vi fosse la possibilità di lavorare e passare il tempo libero. Esattamente come previsto per i prigionieri uomini.
Ad oggi ancora non si hanno dettagli concreti relativi a questo progetto e nel frattempo vi sono donne in detenzione che dovendo essere ospitate alla Farera vedono i loro diritti limitati, così come le possibilità di occupazione ed istruzione, ma anche le semplici possibilità di telefonare e passeggiare nel giardino della struttura.
Questa situazione sta diventando sempre più insostenibile sia dal punto di vista legale che umano, dipoi, ci si chiede se la creazione di tale sezione non faccia che spostare il problema da un lato all’altro. Segnatamente, una volta creata una sezione femminile che possa accogliere il crescente numero di condannate, ci troveremo di nuovo di fronte ad una mancanza di posti, questa volta maschili.
Come ben noto il trasferimento dalla Farera (luogo di carcerazione preventiva) alla Stampa (di coloro che entrano nel regime di esecuzione pena, prevede già ora costanti liste di attesa, anche di diverse settimane. In questo periodo invece di cominciare il programma riabilitativo i rei si trovano nello stesso limbo in cui si trovano oggi le donne.
Appare evidente che togliere celle per attribuirle alle donne, non farà che aumentare il numero di persone in attesa.
Inoltre, inutile dire che per le donne reperire un posto anche fuori Cantone rappresenta una difficoltà ancor maggiore, visto l’esiguo numero di centri che possano accoglierle anche sul territorio nazionale.
Altro problema cronico relativo alla mancanza di strutture riguarda i trattamenti stazionari, i quali vengono ordinati, ex art. 59 CP, ad autori affetti da gravi turbe psichiche che hanno commesso un reato in connessione con questa turba e quando questo trattamento permetta di evitare il rischio di recidiva.
L’articolo di legge prevede di regola 5 anni, prorogabili. La casistica legata a turbe psichiche è in aumento ciò che però non è il caso dei posti di cura.
Ci vogliono infatti strutture adatte e personale curante altamente specializzato.
Come per le donne, i minori e i giovani adulti, centri di questo tipo si trovano solo Oltralpe, con tempi di attesa lunghi e costi giornalieri esorbitanti, nonché difficilmente fruibili da rei che non hanno sufficienti conoscenze francese o tedesco.
Questa casistica però presenta un forte rischio per la società, sono individui che vanno curati e ben monitorati prima di essere rimessi in libertà, si tratta di terapie che durano moltissimi anni e che non possono essere svolte in maniera approssimativa poiché queste persone non trattate rappresentano un reale rischio di sicurezza per la collettività.
Alla luce di quanto precede, posto come già solo da un’analisi sommaria si evince una chiara carenza di posti di detenzione ordinaria, maschile e femminile, nonché di unità specializzate per le turbe psichiche, ci si chiede se non sia ora di affrontare oggi, concretamente e urgentemente una riforma delle strutture carcerarie, posto come anche l’adattamento di strutture, magari esistenti – come l’abbandonata struttura di Naravazz per esempio – richiedono, non solo investimenti, ma anche tempo. Sicuramente stiamo parlando di ingenti somme, ma non dobbiamo dimenticare che dall’altro lato della bilancia vi è la sicurezza pubblica.
Non dobbiamo poi perdere di vista il fatto che programmi di reinserimento sociale ben eseguiti, trattamenti terapeutici specifici e misure di accompagnamento alla liberazione in realtà portano alla riduzione della recidiva e dunque ad un importante beneficio sia in termini sociali e anche in termini economici per la società.
Non dimentichiamo che la creazione di strutture penitenziarie, genera un importante indotto sul territorio (pensiamo solo alla fornitura di servizi) e chiede posti di lavoro specializzati: persone che a loro volta pagheranno le imposte e soprattutto alcuni dei profili professionali fuggiti in Svizzera interna avrebbero una buona occasione di rientrare in Ticino.
Vi ringrazio dell’attenzione, per il gruppo PLR, Roberta Passardi